Il ruolo delle grandi potenze mondiali all’interno della turbina libica

1 commento:

  1. Nel quadro odierno della crisi libica, iniziata con la caduta del dittatore Muahmmar Gheddafi il 20 ottobre 2011 e proseguita con il caos scaturito successivamente alle elezioni del luglio 2014, il ruolo delle grandi potenze mondiali è alquanto controverso, in particolare quello dell’Italia, da sempre paese legato a doppio filo con il destino della popolazione libica.
    Dopo la brutale dipartita di Gheddafi, con uno stato completamente allo sbaraglio senza più alcuna struttura governativa, numerosi cittadini libici invocavano a gran voce l’intervento internazionale. La reazione delle varie potenze è stata quella di impegnarsi per la rinascita di una Libia libera, ma senza il dispiegamento di truppe ed equipaggiamenti sul territorio libico.
    In parole povere: un impegno parziale, molto più politico che militare, evitando i vari rischi e, soprattutto, gli esorbitanti costi che un intervento armato avrebbe comportato. Tutto ciò per scongiurare gli stessi errori commessi negli anni passati in paesi come l’Afghanistan e l’Iraq.
    A partire dagli Stati Uniti, passando per l’Inghilterra e la Francia, fino ad arrivare all’Italia, la tendenza è stata di tipologia attendista, cercando di promuovere la formazione di un nuovo governo libico, ma senza una strategia convinta e ben delineata che portasse a degli esiti effettivi.
    L’unico risultato ottenuto è stato quello di spianare la strada ai gruppi islamici, ai fanatici, alle varie fazioni armate, a chiunque avesse la capacità di imporre la propria volontà con le armi, mentre la Libia è sprofondata giorno dopo giorno in un caos sempre più critico.
    Deporre Gheddafi è stato come aprire un vaso di Pandora: ciò che ne è derivato è stato addirittura peggio dei tempi della dittatura, tanto che molti libici paradossalmente sembrano oggi quasi rimpiangere i tempi in cui c’era il colonnello.
    Le colpe delle varie potenze mondiali sono da attribuire alla loro incapacità di stabilire un periodo di transizione dopo la caduta della dittatura, un periodo transitorio che avrebbe permesso nuove elezioni, la costituzione di un governo unico e la creazione di un’identità politica libica. Un’identità disintegrata da Gheddafi negli ultimi quarant’anni.
    Nonostante alcuni raid aerei da parte dell'Alleanza Atlantica , durante le fasi finali della dittatura gheddafiana, lasciassero presagire a un successivo intervento militare della Nato, nulla di tutto ciò ha avuto luogo. Troppi i timori, troppe le incertezze di rimanere coinvolti in una situazione simile a quella vissuta nei paesi mediorientali. Uno scenario che avrebbe portato a ingenti perdite sotto il profilo umano ed economico, senza condurre a una stabilizzazione dell’area libica.
    Molti analisti internazionali sostengono che le potenze mondiali siano al momento bloccate all’interno di un limbo fra l’intenzione d’intervenire e quella di evitare tutto ciò, soprattutto in questi ultimi mesi con l’ascesa del pericoloso Stato Islamico nella parte centrale della Libia, in particolare nella città di Sirte. In definitiva, ciò che ha ricevuto la Libia è stato un intervento internazionale limitato e molto di facciata, a metà fra la voglia di intervenire e i timori derivanti da ciò.
    Chi ha mostrato un vero interesse a farsi capo di una coalizione internazionale è stato il vicino di casa della Libia, ovvero l’Egitto, specie dopo le decapitazioni di 21 egiziani copti lo scorso febbraio. Mentre fra le potenze occidentali, l’Italia, particolarmente coinvolta nella questione degli immigrati clandestini, di fronte l’ONU( che ha deciso per una risoluzione attraverso il dialogo fra le parti, rigettando l’ipotesi di un intervento armato) ha mostrato l’intenzione di farsi capo della stabilizzazione libica, come paese di riferimento per il monitoraggio di un cessate il fuoco e il successivo mantenimento della pace.

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