Sintesi Primavere arabe: Libia

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  1. Nel cuore del Mediterraneo, tra il Maghreb e il Mashreq, la Libia: paese arabo nordafricano a maggioranza religiosa musulmana, esportatore mondiale di petrolio, antica colonia italiana. Confina a nord ovest con la Tunisia, a ovest con l’Algeria, a sud con il Niger e il Ciad, a sud est con il Sudan, a est con l’Egitto. Tripolitania, Cirenaica e Fezzan sono le tre regioni autonome che compongono l’architettura di questo stato, tagliato in due orizzontalmente dal deserto libico – nubiano.
    La storia contemporanea della Libia è segnata dalla figura del colonnello Muammar Gheddafi, che nel 1969 rovescia la monarchia filo – occidentale di re Idris I con un golpe militare di alcuni ufficiali, e inaugura la ‘Rivoluzione verde’, panarabista nel Paese, che dal 1977 verrà rinominato ‘Grande Jamahiryya Araba’, ovvero Stato libico popolare socialista. Sarà proprio il colonnello Gheddafi a nazionalizzare imprese e possedimenti stranieri e chiudere le basi americane nel Paese.
    Nel tentativo di accreditarsi come statista di spessore internazionale, negli anni del suo governo dittatoriale Gheddafi riesce a imporsi in ambito internazionale anche come mediatore nei vari conflitti sociali, cavalcando alternativamente in panarabismo e il panafricanismo.
    L’ondata di proteste che dal dicembre 2010 iniziano a scuotere il nord Africa, colpisce anche la Libia nel febbraio 2011. Segue una guerra civile che oppone le forze fedeli a Gheddafi agli insorti del Consiglio Nazionale Libico. A seguito della risoluzione 1973, la Nato interviene militarmente. All’intervento prendono parte Stati Uniti, Francia, Regno Unito, Italia, Canada, Qatar ed Emirati Arabi Uniti. Rovesciato il regime, il 20 ottobre 2011 Gheddafi viene catturato e ucciso. Il suo assassinio segna la fine della guerra e ancora oggi le conseguenze nutrono i nostri quotidiani.
    Nell’agosto 2012 il Consiglio nazionale di transizione libico (Cnt) cede il potere alla nuova Assemblea congressuale (Gnc) eletta il 7 luglio con le prime votazioni democratiche dopo quarant’anni. Tuttavia la crisi politica non accenna a risolversi, né tantomeno la precaria situazione della sicurezza, destabilizzata anche dalla crescente spinta secessionista proveniente dalla Cirenaica. Dopo il difficile premierato di Ali Zeidan, il Paese è passato di mano al ministro della difesa, Abdullah Al Thinni, capo del governo ad interim.
    Dopo le elezioni del giugno 2014, una parte del Paese non ha riconosciuto la vittoria del nuovo parlamento e si è generata una violenta spaccatura politica. Una parte del governo è rimasta fedele al vecchio parlamento di Tripoli, che non riconosce il risultato delle ultime elezioni, e che continua a governare la capitale e la città di Misurata. Il nuovo parlamento, che ha ottenuto il riconoscimento internazionale, è stato costretto dai tumulti a fuggire a Tobruk, vicino al confine egiziano, da dove non riesce però a governare che una piccola porzione del Paese. In mezzo a questo caos istituzionale, a Bengasi gruppi salafiti che si rifanno alla Rivoluzione del 2011 hanno preso possesso della città e governano con le armi la provincia.
    A ottobre 2014, un gruppo di uomini a Derna ha defezionato una corrente islamista e giurato fedeltà allo Stato islamico, istituendo un avamposto del Califfato ed espandendosi fino a Sirte.
    Oggi in Libia il potere è polverizzato e conteso da almeno quattro città Stato. Non esistendo un unico governo centrale, la guerra civile prosegue senza sosta, con il rischio concreto del radicamento di estremisti islamici, combattuto in primo luogo dal generale Haftar, a capo dell’esercito regolare, e dall’Egitto.
    Siamo nel pieno della rivoluzione. A quattro anni dalla caduta di Gheddafi, la Libia è un paese dilaniato da una guerra civile in cui si è inserito, il 17 febbraio 2015 lo Stato islamico occupando la città di Sirte.
    Quali saranno le conseguenze? Come agirà la comunità internazionale?

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