Politiche africane dell’UE

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  1. Gli Accordi di Partenariato Economico o EPA (Economic Partnership Agreement), sono accordi commerciali tra l'UE e paesi noti con l'acronimo ACP (Africa, Caraibi e Pacifico) che mirano a garantire condizioni di sviluppo per ampliare i mercati e favorire il libero scambio.
    Gli EPA hanno portato a un’evidente crescita economica nei paesi africani: l’Africa occidentale rappresenta oggi il primo partner commerciale dell’UE nonché un’area d'investimenti business fra i più redditizi a livello globale; secondo i dati della Commissione europea, le esportazioni dall’Africa occidentale verso l’Europa sono aumentate del 280%, mentre quelle dall’Europa verso l’Africa del 125%.
    Di fronte a questi innegabili benefici, si può affermare che gli EPA, negli ultimi anni, abbiano portato all’esplosione dell’Africa sulla scena mondiale.

    La domanda che a questo punto sorge spontanea è la seguente: perché la suddetta crescita economica non è stata sinora in grado di tradursi in una maggiore occupazione e migliori condizioni di vita per la maggioranza della popolazione?

    Analizzando l’accordo di Cotonou, il più importante accordo di partenariato firmato a giungo del 2000 tra l’Unione europea e paesi ACP, si scoprono i limiti e talvolta le ipocrisie delle politiche africane dell’UE. L’obiettivo dichiarato dell’accordo era e rimane la creazione di un nuovo sistema di relazioni paritarie aventi come obiettivo la crescita istituzionale, sociale ed economica dei paesi ACP, attraverso il rafforzamento dei processi d'integrazione regionale, così da favorire il loro inserimento nel processo di globalizzazione economica mondiale.
    Strutturalmente l’impianto dell’accordo regge su tre pilastri interconnessi: politica, economia e commercio, cooperazione e finanza.
    La dimensione politica sottolinea come principale obiettivo la promozione di un ambiente democratico stabile contribuendo alla pace e alla sicurezza. Tanti sono gli sforzi che l’UE compie nel tentativo di importare la democrazia in Africa, come una sorta di vangelo che permetterà al continente di uscire dalla povertà. A questo punto, c’è da chiedersi se il modello democratico occidentale possa realmente andare bene per l’Africa.
    Sarebbe ingenuo pensare che la democrazia possa salvare l’Africa, bisogna per prima cosa riconoscere che non può esistere democrazia senza un’economica solida. Fino a quando l’Africa non potrà finanziare da sola le proprie elezioni anziché dipendere dall’Europa, non si potrà parlare di democrazia.

    Oltre alla dimensione politica, l’accordo prevede una dimensione economica, che mira a istituire riforme per creare un utile contesto al settore privato e alle liberalizzazioni. Ma l'eliminazione delle barriere protezionistiche in nome del libero scambio è un'idea che solleva molte critiche, Tra cui:
    1. A cause dell’esistenza di rapporti di forza squilibrati tra UE e paesi ACP, gli effetti negativi della liberalizzazione sono scaricati prevalentemente sulle fasce della popolazione produttiva più debole.

    2. L'eliminazione del protezionismo, e quindi dei dazi doganali, riduce il flusso di entrate nette per le amministrazioni statali

    3. L'adozione di geometrie variabili negli accordi di partenariato, basate sull'identificazione di alcune aggregazioni regionali non coincidenti coi principali processi di integrazione regionale in Africa.
    Lo sviluppo del settore privato e del libero mercato, a cui la nuova Convenzione dà particolare rilievo, porta con sé anche l’accrescersi del fenomeno dell’accaparramento di terre (in inglese land grabbing).
    L'Unione europea non fa altro che dare con una mano e prendere con l’altra mano. Nel suo impegnarsi ad offrire sostegno alla costituzione di un quadro legale in grado di promuovere e proteggere gli investimenti con la conclusione di nuovi accordi, porta inevitabilmente alla diffusione colture commerciali che irrigidiscono l'accesso alle risorse agricole e che si vanno a sostituire all’agricoltura di sussistenza.

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